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Policlinico NewsLetter. Anno 2 n. 3

Giuseppe Pezzuoli: un chirurgo innovatore

Giuseppe Pezzuoli
Giuseppe Pezzuoli con Gianpaolo Spina, Felice Cosentino, Marco Montorsi (Milano - Ospedale San Paolo, 1982: Giuseppe Pezzuoli, Gianpaolo Spina, Felice Cosentino, Marco Montorsi

Carriera

Direttore Clinica Chirurgia dal 1963 al 1967
Direttore della Scuola di Anestesia e Rianimazione dell’Università di Modena dal 1962 al 1967
Presidente della Società Medico Chirurgica di Modena dal 1964 al 1968

 

Giuseppe Pezzuoli (Maranello 1920-2010), è stato Direttore della Clinica Chirurgica dal 1963 al 1967. Figlio di agricoltori, ha avuto tre figlie, nessuna delle quali ha scelto medicina. Si laureò a Modena nel 1944. “Non era un secchione, ma un fuoriclasse – ha scritto Paola d’Amico sul Corriere della Sera - che rubò il cuore di un professore di anatomia un po' fanatico rispondendo alle domande d'esame in un latino fluente. E qualcosa di eccezionale c'era nel Pezzuoli studente se un altro medico destinato a scolpire il suo nome tra i grandi della medicina, Emilio Trabucchi, all'epoca giovane assistente di farmacologia a Modena, dopo l'esame di chimica gli propose di seguirlo a Milano e di frequentare il suo laboratorio”. Pezzuoli, così giunse a Milano, dove fu allievo del grande Guido Osellatore.
Nel 1961 vinse il concorso universitario e la sua prima destinazione fu Cagliari, dove rimase fino al 1963, quando fu chiamato a Modena. Nell’intervista a Paola d’Amico lo stesso Pezzuoli ha raccontato «dissi che dovevo seguire gli studenti agli esami e mi trattenni in Sardegna fino all' autunno inoltrato». In realtà Pezzuoli voleva rimanere in Sardegna perché stava per cominciare la stagione venatoria e lui era un appassionato cacciatore. «Era la stagione dei tordi. E quel colpo è stato uno dei più belli». A Modena guidò la Clinica dalla nascita del Policlinico sino al suo trasferimento a Padova nel 1967. Nel 1979 sostituì Malan a Milano. Dal 1962 al 1967 diresse la Scuola di Anestesia e Rianimazione che era nata proprio in seno alla Chirurgia.
Pioniere delle operazioni al cuore in ipotermia, quando ancora non esisteva la circolazione extracorporea, è stato autore di oltre 25.000 interventi in diversi settori di chirurgia generale, tra i quali oltre 2.500 di chirurgia toracica maggiore. Particolare attenzione riservò alla chirurgia vascolare, toracica, gastroentrologica, dell’ipertensione portale e del trapianto di fegato. È stato autore di oltre 350 pubblicazioni riguardanti tutti questi campi di studio. Grande innovatore, Pezzuoli inaugurò al Policlinico di Modena la cardiochirurgia e, già a Milano, nel 1985 fu tra i primi ad intuire l’utilità dei supporti informatici (allora proiezione multipla di diapositive, videodisco interattivo) nell’insegnamento che, comunque, non doveva rimpiazzare il libro ma era considerato una sua integrazione, perché i computer “sono cose meravigliose che non possono sostituire la didattica del docente e dell’allievo” che erano per lui fondamentali. Nel 1990 fu il primo italiano ad essere autorizzato (assieme a Pierangelo Belloni che avrebbe operato poi al Niguarda Ca’ Granda di Milano) ad eseguire il trapianto di polmone. Proprio questa autorizzazione ci mostra un Pezzuoli battagliero, che voleva fortemente eseguire quel trapianto per cui si era tanto battuto, mentre l’età rischiava di tenerlo fuori dalla sala operatoria : «Ci eravamo preparati da anni al trapianto di polmone come per una marcia longa. Il polmone lo operavo ad occhi chiusi, avrò fatto più di duemila interventi. Ma la necessaria autorizzazione dal Ministero della Sanità si faceva attendere ed è arrivata quando io avevo appena compiuto i 70 anni. Ero disperato. Quel traguardo era stato il mio tormento per quindici anni. Chiamai allora un allievo il cui padre era avvocato. Gli chiesi di aiutarmi, di trovare la strada per aggirare la legge». Il cavillo fu trovato e una delibera del Cda del Policlinico di Milano gli permise di operare.

L'Intervista

Ho avuto la fortuna di intervistare telefonicamente il professor Pezzuoli nell’ottobre del 2008, due anni prima della morte, quando il professore aveva già ottantotto anni. E’ stata una conversazione piacevole e brillante con un uomo di grande cultura e spirito.
Cosa significò per voi dal punto di vista del lavoro e della ricerca l’arrivo al nuovo Policlinico? “Il nuovo ospedale ci permise di eseguire interventi d’avanguardia. Si può dire che iniziammo la chirurgia vascolare e la cardiochirurgia nella prima metà degli anni Sessanta ed eravamo tra le 3-4 chirurgie italiane a farla. Grande importanza in questo percorso ebbe la collaborazione con il professor Luigi Sprovieri, l’anestesita che aveva studiato a Parigi, il centro numero uno in Europa. Lì operava il professor Charles Dubost che nel 1951 aveva eseguito il primo intervento per aneurisma aortico. Con Dubost diventammo amici. Siccome amava le auto, lo convincemmo a visitare anche Modena per la Ferrari e la  Maserati. Era Sprovieri a far funzionare la macchina cuore-polmone, a circolazione extracorporea che permetteva di intervenire sul cuore”.
Quali erano le tecniche allora più all’avanguardia? “Oltre alla circolazione extracorporea, molto importante, per la cardiochirurgia pediatrica, era la chirurgia in ipotermia profonda. Il bambino veniva prima addormentato e poi lo si immergeva in una vasca di acqua gelida, col ghiaccio. Quando il bambino giungeva a 30° di temperatura corporea potevamo operare perché si sapeva che in quelle condizioni il cervello poteva rimanere senza sangue per 4-5 minuti senza danni. Questa tecnica venne sviluppata in Germania dal professor Derra. C’era un uomo in sala operatoria incaricato di contare i secondi perché non si poteva lasciare il cervello senza sangue un minuto di troppo. Questa tecnica era quindi utile solo per piccole malformazioni che si potessero correggere in pochi minuti. La utilizzavamo per correggere, ad esempio, la stenosi dell’arteria polmonare (un’occlusione da riaprire). Tra le innovazioni che non ebbero successo c’è la chirurgia in camera iperbarica, dove si operava a pressioni tali che non era necessario al sangue l’apporto dei globuli rossi per portare l’ossigeno. Così era possibile iniettare nella circolazione solo soluzione fisiologica e operare con tranquillità. Come la chirurgia in ipotermia profonda, anche quella in camera iperbarica, venne sostituita da quella con circolazione extracorporea, che alla fine risultò vincente”.
Che ricordo ha di quegli anni? “Verso il 1972, cinque anni dopo il mio trasferimento a Padova, mi portarono da Modena un bambino con l’appendicite. I genitori volevano che lo operassi, io perché lo avevo operato al cuore a Modena. Questo aneddoto dimostra come in quegli anni lavorammo bene. Al di là di questa soddisfazione personale, ricordo un buon rapporto con gli amministratori nonostante fossero anni complessi. Ci assecondavano come potevano con l’acquisto di tecnologie e con la sperimentazione. Insomma, era tutto sommato un clima costruttivo”.

Bibliografia

Paola D’Amico, I novant' anni di Pezzuoli il pioniere della chirurgia ,in Il Corriere della Sera p. 7, 25.04.2010 
Redazionale di Tempo Merico,pp. 28 e seg., n. 290, maggio 1988, Milano. 
Enrico Cheli (a cura di), ·La storia della società medico – chirurgica di Modena, Modena, Mucchi, 1988, pp.173-174.
Il Resto del Carlino Modena, Il prof. Pezzuoli mago dei trapianti, 26.10.1990. 
Corrado Lavini,

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