Tumore del sangue: una nuova speranza dalla ricerca

I ricercatori di UNIMORE hanno identitificato nuovi markers e bersagli terapeutici
Nella foto da sx: Elisa Bianchi, Rossella Manfredini, Samantha Ruberti
Nella foto da sx: Elisa Bianchi, Rossella Manfredini, Samantha Ruberti

La Mielofibrosi Primaria, un particolare e raro tumore del sangue, fa oggi meno paura. Grazie ad uno studio sviluppato a Modena presso il Centro di Medicina Rigenerativa “Stefano Ferrari” del Dipartimento di Scienze della Vita di Unimore è stato possibile giungere a nuove importanti conoscenze che svelano i meccanismi molecolari alla base dello sviluppo di questa patologia, identificando nuovi bersagli terapeutici. La scoperta dei ricercatori modenesi per la sua valenza è stata pubblicata recentemente su Leukemia”, la più importante rivista ematologica internazionale. Lo studio è stato finanziato dall'Associazione Italiana per la Ricerca sul Cancro - AIRC (Special Program in Clinical & Molecular Oncology), uno dei 14 progetti italiani finanziato da questo ente con i proventi del 5X1000. Questo progetto si è avvalso della collaborazione delle 7 unità facenti parte del gruppo AGIMM (AIRC Gruppo Italiano Malattie Mieloproliferative, http://www.progettoagimm.it), coordinate dal prof. Alessandro Vannucchi dell’Università di Firenze.

“Le malattie mieloproliferative croniche – spiega la prof.ssa Rossella Manfredini, docente di Biologia e Genetica a Unimore e responsabile dello studio - sono tumori del sangue nei quali, a causa di mutazioni nel DNA delle cellule staminali emopoietiche, si ha un'abnorme produzione di alcune cellule del sangue. Tra queste malattie, la mielofibrosi primaria è particolarmente grave, poiché determina una profonda alterazione dell'architettura del midollo osseo con sviluppo di tessuto fibroso che causa la progressiva perdita di funzione del midollo”.

 

Questa neoplasia, in modo più o meno aggressivo, porta i pazienti a morte mediamente nell’arco di 5 anni. Le attuali terapie infatti non sono risolutive in quanto non sono in grado di rallentare il processo di fibrosi e di prolungare la vita dei pazienti.    
Lo studio dei ricercatori modenesi ha permesso di dimostrare come l'osteopontina sia un importante mediatore attraverso il quale le cellule emopoietiche neoplastiche condizionano il comportamento di altri tipi cellulari nel midollo osseo e promuovono la fibrosi. Le analisi effettuate hanno permesso di dimostrare come i livelli plasmatici di osteopontina siano correlati al livello di gravità della fibrosi che questi pazienti presentano a livello del midollo osseo e rappresentino un nuovo importante parametro prognostico nei pazienti con mielofibrosi primaria.    
Lo studio quindi definisce come i livelli plasmatici di osteopontina rappresentino un nuovo importante marker utilizzabile a scopo prognostico nei pazienti con mielofibrosi primaria ed identifica l'osteopontina come un nuovo bersaglio terapeutico potenzialmente utilizzabile per il disegno di terapie sperimentali volte a reprimere il processo di fibrogenesi nella mielofibrosi primaria.

 
 
 
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